Uno degli aspetti più interessanti della negoziazione è l’essere il punto d’incontro tra diverse discipline; come immediata conseguenza per essere dei buoni negoziatori occorre avere sia competenze razionali-analitiche che psicologiche-relazionali.
Se ci ponessimo quindi la seguente domanda “per essere un buon negoziatore è meglio saper analizzare dal punto di vista economico la situazione o saperla gestire dal punto di vista relazionale?” la risposta sarebbe entrambi. Saper analizzare perfettamente la situazione, ma non essere in grado di porci in relazione con la controparte sarebbe come avere uno scheletro robusto ma privo dei muscoli necessari per effettuare i movimenti. Viceversa, sapersi mettere in relazione con la controparte ma non avere idea di cosa vogliamo e possiamo ottenere, sarebbe come avere i muscoli ma non avere una struttura portante di supporto alle contrazioni degli stessi.
La negoziazione è caratterizzata da numerosi equilibri da raggiungere in modo sapiente
- equilibrio tra aspetti razionali ed aspetti relazionali,
- equilibrio tra assertività ed empatia,
- equilibrio tra informazioni rivelate ed informazioni ricevute,
- equilibrio tra competizione e cooperazione.
Di alcuni di questi equilibri abbiamo già parlato in un post precedente; ciascuno di essi meriterebbe non solo un post ma addirittura un libro intero ed una vita di pratica per padroneggiarlo.
Vi sono poi equilibri o, in questo caso sarebbe meglio definirli compromessi, che sono addirittura falsi.
Probabilmente ve ne è uno che per la maggior parte delle persone è al centro del processo negoziale: è trovare il giusto compromesso tra utilizzare il proprio potere o mantenere la relazione.
Non saper affrontare questo snodo è la ragione per cui la maggior parte delle persone incontra difficoltà a negoziare.
Il dilemma è se usare il proprio potere per ottenere quello che vogliamo a discapito della relazione o, al contrario, privilegiare la relazione non utilizzando il nostro potere e sacrificando i nostri interessi.
Ciascuna delle alternative rappresenta una posizione estrema che lascia la maggior parte di noi insoddisfatti. In un post precedente, quando abbiamo affrontato i modi inefficaci per dire no, abbiamo già trattato delle due posizioni estreme:
- attaccare, ossia usare il nostro potere per difendere i nostri interessi,
- essere accomodanti, ossia cedere sui nostri interessi per mantenere una relazione con la controparte.
Questo dilemma costituisce una delle credenze (errate) più diffuse riguardo alla negoziazione. In realtà, come dice Ury, c’è un modo per superare questa impasse e consiste nell’usare il proprio potere mantenendo comunque rispetto nei confronti della controparte. Usiamo il nostro potere affrontando il problema ma trattando con rispetto la controparte coinvolgendola a risolvere il problema comune.
La risposta è quindi quella di non cercare un compromesso che ci lascerebbe comunque insoddisfatti ma perseguire entrambi gli obiettivi allo stesso tempo: cercare di ottenere i nostri interessi lavorando in modo rispettoso con la controparte e quindi mantenendo una relazione costruttiva. Riuscirci non è semplice soprattutto se la controparte pensa che la negoziazione sia un compromesso. Sta a noi, che sappiamo che esiste una terza via, valutare se i costi della negoziazione superano i benefici: perché la negoziazione ha comunque un costo.
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Ugo Merlone
Professore Ordinario
Dipartimento di Psicologia, Università di Torino
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