Nel primo capitolo del testo fondamentale La strategia del conflitto, Thomas Schelling, che nel 2005 aveva conseguito il premio Nobel per l’economia con la motivazione di “aver migliorato la nostra comprensione del conflitto e della cooperazione attraverso l’analisi della teoria dei giochi“, fornisce una classificazione delle diverse teorie del conflitto.
La prima distinzione che l’autore opera è quella tra coloro che considerano il conflitto uno stato patologico e quelli che invece lo danno per scontato. I rispettivi approcci nello studio del conflitto saranno ovviamente diversi; i primi ne ricercheranno le cause e i modi per gestirlo, mentre i secondi si concentreranno sui comportamenti associati al conflitto. Considerando coloro che assumono che il conflitto sia inevitabile, Schelling fornisce un’ulteriore divisione a seconda di quali comportamenti siano studiati. L’ autore distingue infatti tra coloro che considerano il comportamento dei partecipanti in un conflitto nella sua totalità e quindi a prescindere che questi comportamenti siano consapevoli, inconsapevoli, consci, inconsci, razionali o irrazionali, considerando anche le eventuali motivazioni e i calcoli a monte, e coloro che si concentrano sui comportamenti più razionali e deliberati, insomma delle persone che sono, per così dire, intenzionate a vincere.
Schelling chiama strategia del conflitto quest’ultimo campo di studio, ossia l’analisi dei comportamenti intelligenti e sofisticati messi in atto in un conflitto in una sorta di ricerca delle regole di comportamento “corrette” necessarie a vincere. Va osservato che il termine strategia è tratto dalla teoria dei giochi e si focalizza sull’interdipendenza delle decisioni dei partecipanti al conflitto. Schelling mette chiaramente, ed onestamente, in guardia i lettori sui limiti dei risultati ottenibili con questo approccio in termini di applicabilità alle situazioni pratiche quando si considera la strategia del conflitto in modo teorico poiché questa si basa sia su un calcolo consapevole dei vantaggi ottenibili, sia su un sistema di valori internamente coerente. Tuttavia, questo tipo di approccio, ossia concentrarsi sul comportamento razionale, può produrre interessanti risultati se non altro al fine di proporre nuove teorie. Ma i possibili sviluppi vanno oltre alla produzione di teorie e ci permettono di identificare ed analizzare i processi analitici nostri e di altri partecipanti (ipotetici) ad un conflitto.
La razionalità inoltre è un buon punto di partenza e ci fornisce un metro di giudizio per analizzare i comportamenti non razionali che possiamo incontrare nelle negoziazioni quotidiane: dobbiamo quindi essere pronti a riconoscere quando la realtà si allontana dalle ipotesi teoriche. Infine, dando per scontato il conflitto e anche assumendo che i partecipanti ad un determinato conflitto siano solamente interessati a vincere, ci possiamo rendere conto che oltre agli interessi contrapposti i partecipanti quasi sempre hanno anche interessi comuni. Questo fondamentale insegnamento ci arriva dalle prime quattro pagine del testo di Schelling e la coesistenza di interessi comuni e conflittuali è alla base della negoziazione.
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Ugo Merlone
Professore Ordinario
Dipartimento di Psicologia, Università di Torino
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