
Figura: Lorica di Augusto di Prima Porta, Foto di I, Sailko CC BY-SA 3.0, via Wikimedia Commons
La storia è sempre una fonte di esempi e di lezioni di negoziazione. Lo scorso 7 luglio a Fahrenheit, trasmissione di Rai Radio 3, il Professor Giovanni Brizzi intervistato a proposito del Festival del Mondo Antico, ha parlato della figura di Augusto e delle sue abilità negoziali. Vista l’importanza e l’attualità del tema ho rivolto al Professor Brizzi alcune domande alle quali premetto le considerazioni iniziali del Professore che ci permettono di meglio inquadrare l’argomento nel contesto a cui ci riferiamo.
“Nei rapporti con l’Oriente la politica estera di Augusto muta, oltre che secondo i momenti, secondo le zone di interesse, al di qua dell’Eufrate o al di là dello stesso fiume, oltre il quale, come dice Trogo-Giustino, presso i Parti postquam divisio orbis facta est, Orientis imperium est. Pur se nei confronti della potenza rivale Roma andava forse già recuperando il prestigio militare incrinato a Carre, la guerra contro di loro restava un’incognita; sicché rispetto all’ambito che comprendeva l’Armenia, la Parthia ed i loro possedimenti fino all’Eufrate Augusto preferì di norma affidarsi alla diplomazia e, semmai, all’intimidazione. Il princeps dirà ad un certo punto nelle sue Res Gestae, la memoria epigrafica delle imprese compiute in vita: «Phraate [= uno dei re partici], figlio di Orode, mandò presso di me in Italia tutti i suoi figli e nipoti non perché vinto in guerra, ma per chiedere la nostra amicizia col pegno dei suoi figli».
In proposito, tuttavia, si possono avanzare alcune considerazioni. Molto si deve nella soluzione (momentaneamente…) pacifica della crisi al figliastro Tiberio, che sistemò le cose in Armenia e in Media, installandovi dinasti filoromani. Sempre Tiberio (e sempre per conto di Augusto…) ottenne la restituzione —gesto simbolicamente importantissimo— delle insegne (oggetto addirittura di culto…) sottratte in più occasioni, non solo a Carre, alle legioni sconfitte di Crasso, di Decidio Saxa, di Antonio. L’episodio ebbe una rilevanza enorme, celebrato quasi fosse una vittoria militare con un’acclamazione imperatoria per Augusto e con un arco di trionfo nel foro, su monumenti figurativi come l’Augusto di Prima Porta, sulle monete e persino nei carmi di poeti come Orazio, Ovidio, Properzio. Alla base di questi successi diplomatici stavano però anche le divisioni interne alla dinastia arsacide, esponenti della quale, persino del più alto rango, in lotta con i sovrani sul trono venivano, se sconfitti o in pericolo in Partia, a cercare asilo in Italia, offrendo al potere romano preziosi strumenti di pressione.
Malgrado i successi di Augusto la situazione era, ovviamente, tutt’altro che risolta; e l’invio dei figli di Phraates, rappresentò da ultimo uno smacco per il principe, ingannato (come talvolta avvenne anche all’interno della sua stessa famiglia…) da una donna.Un nuovo momento di crisi sopraggiunse meno di vent’anni dopo; e fu indirettamente generato dal dono che Augusto aveva fatto di una nobile fanciulla siriaca ridotta in schiavitù a Roma, Thea Musa. Quale che fosse il disegno di Augusto –semplice omaggio al re partico o tentativo di piazzare una voce influente, se non una spia, all’interno della corte arsacide-, la mossa finì per ritorcersi contro il princeps. Senz’altro assai seducente, Musa divenne prima concubina del re, che ne ebbe un figlio; poi sua sposa, e fu da lui insignita di dignità regale. Alcuni anni dopo Phraates, in crescente difficoltà per l’opposizione interna alle scelte filoromane da lui compiute, si decise ad un passo ancora più estremo, inviando a Roma i quattro figli avuti dai precedenti matrimoni, con due delle loro mogli e quattro dei loro figli: Roma parve così per un attimo essersi garantita il sostanziale controllo sulla successione al trono di Parthia. Ma la decisione era stata ispirata da Musa per aprire al proprio figlio la strada verso il potere; al giovane fu assicurato prima il governo delle capitali in Mesopotamia, Seleucia e Ctesifonte; poi, alla morte del re, assassinato (dalla moglie?), addirittura il trono. Al quale il figlio Fraatace, re con il nome di Fraate V, associò anche la madre, infine addirittura sposandola almeno simbolicamente (e adottando un costume, quello del matrimonio tra consanguinei prima limitato soltanto ai magi che ha fatto pensare ad un legame con l’evoluzione dello zoroastrismo). E’, come si vede, una situazione, quindi, che rimarrà piuttosto complessa, addirittura per secoli.”
Con i Parti, Augusto riesce ad ottenere attraverso il negoziato qualcosa che non avrebbe potuto ottenere con la superiorità militare. Ce ne può parlare?
“La domanda è forse impropria: raggiungendo la superiorità militare Augusto avrebbe potuto ottenere molto o addirittura tutto… Ma era in grado di conseguirla davvero e poi di mantenerla, questa superiorità? Con la diplomazia poteva riuscire, anche se in modo provvisorio, ad imporre sovrani clienti su regioni altrimenti difficilmente controllabili; anche se i rovesciamenti ad opera di candidati nazionalisti o filopartici erano all’ordine del giorno. Certo, trattando Roma poteva ottenere con una certa sistematicità frontiere sicure.
In realtà non solo in questo caso, ma spesso, la trattativa assicura all’impero (e, ovviamente, agli Arsacidi; che restano da un certo momento in poi in soggezione rispetto alla Potenza rivale: da Pacoro –età di Antonio- a Lucio Vero non un solo Parto fu visto al di qua dell’Eufrate se non come prigioniero, supplice od ostaggio) periodi anche piuttosto lunghi di tranquillità; anche perché fino dalle sconfitte subite ad opera di Ventidio Basso, legato di Antonio, i Parti sembrano essersi resi conto del fatto di essere, al di fuori del loro territorio, molto vulnerabili: ad occidente dell’Eufrate, non controllando le città, non avevano le basi donde condurre, trovandovi poi rifugio, la forma di guerra fluida che era loro caratteristica.”
A distanza di duemila anni perché la figura di Augusto rimane importante?
“Il sorgere di una figura come quella di Augusto sarebbe, io credo, oggi impossibile, almeno in Occidente: e tuttavia siamo di fronte ad uno dei più grandi politici della nostra storia. I presupposti sacrali di cui cinge la sua figura e la costruzione ideale da lui elaborata, filtrata poi nell’impianto della Chiesa, ha prodotto infine il potere degli imperatori tardoantichi; ed è all’origine degli eredi di questi, i re taumaturgi e le monarchie dei gratia (la cui celebrazione campeggia tuttora sulla sterlina inglese).”
Ci sono altre lezioni di negoziazione che ci arrivano dal mondo antico?
“Infinite sono le negoziazioni, come lo sono i trattati; anche perché uno, forse il primo, dei valori definiti «prestatuali» poiché governano i rapporti già tra le gentes, i nucleiplurifamigliari delle origini, quello di fides, è alla base del diritto prima del diritto stesso. E perché Roma sembra aver concepito assai presto l’idea di giusnaturalismo, una regola di condotta che precede ogni pactum humanum (Livio 5, 27, 3). Con queste premesse trattati regolano i rapporti con i socii italici fino dall’età regia; e, non a caso, vengono riposti nel tempio dedicato alla Fides. Ricorderò due soltanto tra le negoziazioni capaci di sventare un conflitto. Il cosiddetto trattato dell’Ebro, in cui l’accordo tra Asdrubale il Vecchio e Roma allontana per alcuni anni lo scoppio della guerra annibalica; e l’intesa grazie alla quale un candidato partico, Tiridate fratello di Vologese, raggiunge Roma alla testa di uno sfarzoso e dispendiosissimo corteo per ricevervi la corona d’Armenia da Nerone in persona. “
Da questa intervista possiamo vedere l’attualità di vicende risalenti a duemila anni fa; per chi fosse interessato ad approfondimenti, rimando al libro del Professor Brizzi “Roma contro i Parti” uscito nel 2022.
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Ugo Merlone
Professore Ordinario
Dipartimento di Psicologia, Università di Torino
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