Foto di Jim Henderson da Wikimedia.
A New York City, nei mesi scorsi, si è potuta osservare l’evoluzione di una feroce disputa nata dal progetto del New York Blood Center di ristrutturare la sua sede. Questo genere di dispute sembra essere abbastanza frequente a New York City, soprattutto quando vengono presentati progetti per costruire qualcosa: esempi recenti sono dati dal progetto di Amazon di costruire un quartier generale nel Queens, il progetto di Industry City a Sunset Park a Brooklyn, un rifugio per senzatetto a Manhattan e anche un’area riservata ai cani a Riverside Park.
In questo caso la controversia riguarda la proposta di costruire una torre alta 233 piedi in una zona residenziale per sostituire la sede attuale del New York Blood Center. L’edificio che al momento ospita il New York Blood Center risale al 1930 ed è alquanto antiquato. Nell’ottobre del 2020 il New York Blood Center aveva presentato un progetto a cura della Longfellow Real Estate Partners per sostituire la sua sede di tre piani in mattoni con una torre di vetro a 16 piani. Secondo il progetto il centro avrebbe occupato parte dei primi cinque piani, mentre l’impresa avrebbe affittato i piani superiori ad alcune società operanti nelle Life Science. Ma per realizzare il progetto serviva l’approvazione del New York City Council.
Tuttavia, diversi residenti della zona hanno espresso preoccupazione per il progetto. Numerose sono state le ragioni presentate per opporsi all’ampliamento del New York blood Center: l‘ombra che un edificio alto avrebbe proiettato, l’aumento del traffico ed il pericolo derivante dai rifiuti sanitari. Tra coloro che si sono opposti un ruolo importante è stato assunto dall’associazione Friends of the Upper East Side Historic Districts e da Ben Kallos, membro del New York City Council, che si è opposto al progetto con veemenza arrivando a deporre una testimonianza di fronte alla Commissione Urbanistica. Secondo il New York Times, la campagna per opporsi al progetto riflette un sentimento comune di una parte degli abitanti di New York.
Questa controversia ha dei tratti in comune alle forme di protesta chiamate NIMBY, acronimo di “not in my back yard” ossia “non nel mio cortile”. Secondo l’Encyclopædia Britannica, la forma colloquiale NIMBY è apparsa a metà degli anni settanta; secondo il dizionario on-line Merriam Webster essa denota “l’opposizione alla localizzazione di qualcosa considerato indesiderabile (come una prigione o un inceneritore) nel proprio quartiere”. Secondo alcuni contributi si riferisce ad un atteggiamento di opposizione da parte dei residenti locali nei confronti di progetti di localizzazione, da parte del governo o di industrie, di strutture che possono generare rischi per la popolazione; questo atteggiamento è caratteristico di qualcuno che è favorevole ad una struttura ma desidera che sia ospitata da un’altra parte. Esempi di NIMBY li possiamo trovare quando si deve decidere dove smaltire i rifiuti nucleari, dove effettuare interventi di edilizia residenziale pubblica e dove costruire un aeroporto. Per un’analisi di questo fenomeno ci si può riferire al volume di Michele Roccato e Terri Mannarini.
Il 23 novembre 2021 il New York City Council ha approvato il piano per ristrutturare l’edificio del New York Blood Center nell’Upper East Side di Manhattan. È passato con 43 voti favorevoli e 5 contrari: uno dei pochi voti contrari è stato quello di Ben Kallos il membro che rappresenta il quartiere nel Consiglio. Secondo gli osservatori del New York City Council è stata la prima volta dal 2009 che un progetto di riqualificazione o sviluppo è stato approvato contro la volontà del membro locale e questa è stata definita una mossa inusuale. Probabilmente in questo caso, si trattava di una situazione diversa da una tipica controversia NIMBY relativa, per esempio, allo smaltimento dei rifiuti, infatti, in questo caso, una parte dei residenti della zona sosteneva comunque il progetto anche senza aver ricevuto indennizzi. Al contrario nelle dispute NIMBY relative allo smaltimento dei rifiuti o in quella relativa alla Tav in Val di Susa le esternalità negative sul territorio sembrano essere maggiori degli eventuali benefici come si può vedere dai siti che ne confrontano i pro ed i contro. Nel caso del New York Blood Center, questo ha indubbiamente spaccato il fronte dei residenti che si opponevano rendendo questa parte non monolitica.
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Ugo Merlone
Professore Ordinario
Dipartimento di Psicologia, Università di Torino
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