
Abbiamo visto che le emozioni o, più correttamente, la nostra incapacità di leggerle ed interpretarle ci può trarre in inganno. Infatti, quando non riconosciamo le emozioni che stiamo provando e ci facciamo agire da esse possiamo compiere azioni di cui ci pentiremo. A questo punto verrebbe spontaneo affidarci solamente alla nostra razionalità ed evitare di farci trascinare dalle emozioni. Ciò non è corretto per due motivi:
1. le emozioni non possono esssere semplicemente negate ma devono essere riconosciute, gestite e usate per analizzare che cosa sta succedendo;
2. anche la nostra razionalità può trarci in inganno, non è infallibile.
Un semplice esempio illustra questo secondo aspetto. Prendiamo in considerazione quattro carte, ciascuna recante un numero su una faccia ed una lettera sull’altra. Di due carte è possibile vedere solamente la faccia recante la lettera e delle altre due quella con il numero. Immaginiamo che le quattro carte siano quelle raffigurate sopra e supponiamo che ci sia data la seguente consegna:
Determinare quante e quali carte girare per assicurarci che la seguente regola sia seguita “Se c’è una vocale su una faccia allora c’è un numero pari sul retro”.
La grande maggioranza dei partecipanti in quasi tutti i gruppi testati non riesce a rispondere correttamente. Io stesso ho eseguito questo test con migliaia di studenti e posso confermare che pochissimi riescono a portare a termine questo compito in modo corretto. Con i partecipanti da me coinvolti ho potuto osservare ogni sorta di possibili risposte (qualcuno aveva perfino detto che non era necessario girare nessuna carta), tuttavia la risposta (errata) più comune è “la carta con la lettera A e quella con il numero 2″. Invece la rispota corretta è “la carta con la lettera A e quella con il numero 1”.
Questo compito è stato studiato da Wason (1960) e discusso in diversi articoli. Secondo Goldstein, una ragione dell’interesse suscitato da questo problema è il cercare di scoprire le ragioni delle numerose risposte errate. È importante sottolineare che secondo Cheng e Holyoak (1985) vi sono alcune condizioni e formulazioni del problema che potrebbero facilitare lo svolgimento corretto del compito.
Dal momento che Neale e Bazerman (1985) menzionano il problema delle quattro carte di Wason per discutere dell’eccesso di fiducia e della “riluttanza dei negoziatori a cercare e utilizzare prove che modificherebbero un giudizio già preso”, non è improbabile che noi stessi durante una negoziazione possiamo commettere questo tipo di errore e che addirittura qualcuno usi al contrario le condizioni individuate da Cheng e Holyoak per indurci a commettere errori costosi.
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Ugo Merlone
Professore Associato
Dipartimento di Psicologia, Università di Torino
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